Vorrei…

articolo di Cristina Fiore
Ma se domani io non potessi affondare le dita nei capelli di seta delle mie figlie, se non potessi sentire la loro voce, se non avessi il loro odore nel mio naso, il loro crescere nei ricordi, allora forse capirei.
Adesso no, non capisco, non ho una logica risposta alla perdita così grande di un figlio.
Non so rispondere a domande vuote di risposte che possano riempire il burrone. Io non capisco e vorrei che nessuno capisse.
Se la logica diventa mezzo unico di trasmissione muore la cura.
Io vorrei che chi lavora a contatto stretto con l’addio potesse sapere di che natura è il suo vuoto tanto da renderlo disponibile agli altri; vorrei poter trasmettere, nel mio fare formazione, che non si prescinde dal sé per darsi ad altri.
Vorrei che chi si professa “curante” non prescindesse dal sentire l’effetto del dolore e della rabbia nei racconti, della ragione e della fatica nella crescita, del rimpianto e della riconoscenza nel ricordo.
Vorrei non ci fossero rocche fatte di termini analiticamente scelti per preservare chi cura dal dolore, vorrei la missione della relazione portata come arricchente per sé ed empaticamente aperta al mondo.
Vorrei sostare con altri quieti cuori, impotenti ed ignoranti ma veri.
Vorrei sentire l’utilizzo dello strumento suonato su un terreno morbido di facilitazione, privo di giudizio e di regola.
Lo vorrei. E sono disposta a provarci fino a quando avrò forza di farlo.
E vorrei che i tempi del condizionale e del futuro diventassero presente, perché solo così posso dire di far bene il mio lavoro.
Vi ringrazio, per tutto quello che mi date
Cristina